Il calcio di Bearzot e Brera

Il calcio di Bearzot e Brera

Immagine 4

Cagliari, 28 dicembre 2010

IL CALCIO DI BEARZOT E BRERA

Riflessione nostalgica sul calcio che non c’e’ più

Qualche giorno fa si è spento Enzo Bearzot. Qualche giorno prima ricorrevano i diciotto anni dalla scomparsa di Gianni Brera. Due grandi protagonisti, ognuno nel suo ruolo, di un calcio che non c’è più. Del calcio moderno, Brera per fatalità, Bearzot per scelta personale, non hanno mai fatto parte. Sono stati interpreti assoluti del calcio “preindustriale”. L’hanno lasciato agli albori della pay-tv, delle giornate spezzatino, delle maglie dalla numerazione improbabile, del decreto Bosman. Quando la Champions League si chiamava Coppa dei Campioni, la Europa League più semplicemente Coppa Uefa e le squadre vincitrici delle rispettive coppe nazionali si contendevano la Coppa delle Coppe. La domenica pomeriggio si giocava il campionato, il mercoledì le coppe europee.

Il calcio di Bearzot e Brera era il calcio cosiddetto “all’italiana”. Soprattutto difesa e contropiede. Non era il calcio muscolare, veloce e spumeggiante dei giorni nostri. Però quel calcio era una scuola: sfornava i migliori portieri e difensori del mondo. Dall’estero arrivavano, dal 1980 in poi, soprattutto centrocampisti e attaccanti. Due o tre per squadra, non di più. E servivano a potenziare e completare squadre con un’identità già definita. Con un’intelaiatura di giocatori italiani provenienti dai vivai o dalle squadre minori.

Il calcio di Bearzot e Brera era giocato da calciatori che per essere convocati in nazionale dovevano disputare molte ottime partite. Non solo qualcuna. E chi aveva la fortuna e il merito di vestire la maglia azzurra sentiva l’orgoglio e il prestigio del momento. Non viveva la partita con la nazionale come un ingombro tra gli impegni dei rispettivi club di appartenenza. Come spesso capita nel calcio “moderno”. In quel calcio le “bandiere” delle squadre non erano ancora una specie in via di estinzione e un allenatore non passava dalla panchina del Milan a quella dell’Inter nel giro di qualche mese (vero Leonardo?).

Il calcio di Bearzot e Brera prevedeva che quando un ragazzo si presentava a un provino si sentiva chiedere da un selezionatore “fammi vedere come palleggi”. Nel calcio moderno un allenatore si preoccupa di domandare al giovane calciatore “fammi vedere in quanto tempo corri i cento metri”. Il Milan, la Roma, l’Atalanta e il Torino avevano tra i migliori vivai d’Europa. Il torneo giovanile di Viareggio era una manifestazione seguitissima. Vi accorrevano gli osservatori dei più grandi club nazionali e internazionali.

Il calcio di Bearzot e Brera veniva trattato dalla tv in modo serio. Durante le telecronache delle partite il cronista non urlava “miracolo” alla parata appena impegnativa di un portiere. E quando un giocatore si infortunava e veniva soccorso, non partiva uno spot pubblicitario di un detersivo o di una finanziaria a invadere i teleschermi. Durante le trasmissioni non si urlava, si discuteva pacatamente. Il gossip calcistico non c’era ancora. E la Domenica Sportiva era un’istituzione. Chissà a quante proposte per occupare ruoli da opinionista nei più diffusi “varietà calcistici” Bearzot avrà detto no. Con totale assenso di Brera che lo guardava dall’alto.

Nonostante siano venuti a mancare l’uno a diciott’anni dall’altro sembra che entrambi non ci siano più da tanto tempo. Ma chi erano esattamente Bearzot e Brera? Due persone forse sono più adatte di altre per ricordarli: Dino Zoff e Gianni Mura.

Dino Zoff, anche per le comuni origini friulane, è sempre stato considerato molto simile al suo allenatore. Umanamente e professionalmente: “Bearzot era un grande condottiero, un condottiero vero non di quelli da mass media. Lo faceva muovendosi sempre rigorosamente dentro le righe, aveva pudore di se e dei suoi sentimenti. Però era sempre lì, composto e preparato, a coprirti le spalle e ad assumersi responsabilità anche non sue. In un mondo che cominciava a inginocchiarsi di fronte alla religione dei media lui era un corpo estraneo. E lo sarebbe stato sempre di più con il passare degli anni. Veniva ignorato il suo spessore umano e intellettuale … era una persona di cultura, aveva fatto il liceo classico, leggeva molto e parlava di tutto. Quando perdeva la pazienza e gli capitava l’occasione, correggeva le citazioni in latino dei giornalisti facendoli infuriare. Ci assomigliavamo caratterialmente, nel modo di intendere la vita, nel pudore. Bearzot era un grande italiano, un importante personaggio del nostro ‘900. Un uomo innamorato della lealtà, di purezza rara. Amava il suo ruolo istituzionale e si comportava di conseguenza, con un rigore assoluto”.

Gianni Mura per tanti anni ha curato con Brera le pagine sportive de “la Repubblica” e dopo quel tragico 19 dicembre 1992 ne è diventato il suo naturale erede: “Brera aveva una voce lombarda con accento pavese. Una voce che ho sentito parlare in dialetto, in francese, in tedesco, in spagnolo, in inglese … una volta Brera fece un pezzo sul dribbling di Pelé accompagnandolo da endecasillabi spezzati di Leopardi … è una voce che ogni tanto risento quando nel calcio capitano certe cose. E io involontariamente mi chiedo cosa avrebbe scritto Brera per esempio dello scandalo di calciopoli, delle retrocessioni, delle intercettazioni. Lui avrebbe scritto cose pesantissime … più pesanti in rapporto al livello dei personaggi coinvolti. Più in alto sono, più si picchia duro. Sotto il profilo della generosità Brera mi ha insegnato molto. Il nostro è un mestiere nel quale bisogna dare 10 lire in più che 10 in meno … nella vita è meglio passare mezz’ora in più con gli amici che mezz’ora in meno. La notizia dell’incidente l’ho avuta in un modo traumatico. Ero con la nazionale a Malta … fu una mattina molto convulsa … dovevo scrivere io il coccodrillo di Brera. Ho scritto credo il miglior pezzo della mia vita … in uno stato di trans … in pochissimo tempo … mi sembrava di scriverlo sotto dettatura. Un po’ difficile da spiegare ma è andata così”.

In Italia il gioco del calcio continua a rimanere lo sport più popolare e più seguito. Ma il calcio di Bearzot e Brera era un’altra cosa. Qualcuno l’ha definito un calcio che nasceva all’oratorio e moriva in osteria. Aveva un sapore più umano e più romantico. Come le cose d’altri tempi. Un calcio che amavamo e che ci divertiva di più.

A.M.

Lascia un commento