
Cagliari, 28 giugno 2025
ERA MIA MADRE
“Ciao Antonè … comment’istasa? E is pippioso? E Rita?”. Non squilla più con puntualità svizzera il telefono alle sette e mezzo di sera. Eppure nonostante le settimane trascorse il pensiero dell’attesa inconsciamente si innesca. Lo fa. Magari per tanto tempo ancora. Passerà.
“E adesso i selfie con chi li faccio?” mi ha (quasi) urlato un caro amico quando è venuto a darle l’ultimo saluto. È vero i selfie … uno dei suoi grandi divertimenti in tarda età. Li faceva con tutti: visitatori, personale della struttura, parenti. Con Don Alessandro e Don Diego. A tutti – dopo essersi sincerata della qualità fotogenica – rivolgeva la stessa ferma e gentile richiesta: “Mandaesidda Antonello deasi da iede issu puru in Casteddu”.
I quasi dodici anni trascorsi al ‘Margherita Floris’, il primo di questi assieme a mio padre, sono stati quelli del riposo. Sollevata dalle responsabilità domestiche e di famiglia, lontana da condizionamenti di ogni genere. È stata la stagione delle chiacchierate con gli altri ospiti e il personale, delle Messe la domenica e festivi, delle videochiamate (una vera manna durante il periodo di cattività causato dal Covid), delle merende pomeridiane, delle feste di compleanno, dell’informazione costante sugli accadimenti nel mondo esterno, della curiosità (anche e soprattutto quella più frivola), delle visite alla casa di una vita – magari in presenza dei suoi amati nipoti – per sincerarsi che tutto fosse sempre pulito e in ordine. Dell’umorismo sottile, a tratti sarcastico.
Indimenticabile una scena vissuta in presa diretta quando all’uscita dall’ascensore si trovò davanti due agenti della Benemerita: “Là is carabinerisi … eitte seisi benioso arrestare a Don Alessandro?”.
Il ‘Margherita Floris’ non è una Casa di riposo come tante altre. Tra le sue qualità ne ha una veramente rara: i visitatori che vanno a Messa o a trovare un loro congiunto trovano il tempo e il piacere di trattenersi anche con gli altri ospiti. I tanti che sono venuti a salutarla mi dicevano che per tutti ha sempre avuto un sorriso, un gesto affettuoso, una buona parola, un augurio sincero. Il suo lascito più prezioso assieme ai valori più nobili di cui era depositaria: onestà, rispetto, sincerità, altruismo, generosità. Praticati per una vita intera e se possibile esaltati in tarda età, in perfetta simbiosi con gli insegnamenti di Papa Francesco: “Nella vecchiaia i valori di cui abbiamo bisogno”.
Valori acquisiti dall’educazione contadina, senza il supporto di istruzione alcuna. A tutti ricordava di aver fatto la terza elementare precisando che la promozione dalla seconda non fu per meriti scolastici ma solo perché era buona. Le linee guida di una formazione educativa senza tempo, tramandata da genitori a figli, perfettamente su misura anche per nipoti e generazioni a venire.
Comportamenti e atteggiamenti confermati anche durante il ricovero in ospedale con medici, infermieri, degenti e visitatori. Vigile e orientata – per dirla in gergo di reparto – fino all’ultimo. Anche nel comunicare le sue ultime volontà.
Rimarrà indelebile il suo ultimo sguardo cosciente: fermo, orgoglioso, intenso, fiero. Lo sguardo di una mamma consapevole di guardare per l’ultima volta il suo unico figlio. Di contemplare quanto più a lungo possibile quella che per lei è sempre stata la cosa più bella realizzata nella sua lunghissima vita.
Bellissimo il presente trovato al ritorno nella dimora di via Medusa: una distesa di fiori gialli – mai visti prima da quelle parti – nel cortile di casa. Per chi sa interpretare questi accadimenti il segno che mia madre lassù è contenta e felice. Che stanno tutti bene. Se lo ha lasciato per rassicurarmi messaggio più bello non poteva mandarmi.
Adiosu mamma, grazie per la vita.
Antonello