Cagliari, 02 novembre 2024
GIOVANNI MUSU 1927 – 2014
L’unica traccia fotografica dove compare con la cravatta. In occasione di uno scatto ‘segnaletico’ a favore di una delle sue prime – se non la prima – carta d’identità. Fu lo stesso fotografo a prestargliela perché a detta sua avrebbe assunto un’immagine più elegante. Come dargli torto.
A volte mi sembra di sentirlo nell’aria … un’essenza di campagna e di fatica. Secondo alcuni quando questo accade la persona cara si trova accanto a noi. Chissà …
Spesso mi chiedo cosa mi è mancato di più in questi dieci anni. Sicuramente un ripasso dell’educazione che mi ha dato e paro paro stiamo trasferendo ai nipoti. Soprattutto quella parte che riguarda aspetti apparentemente scontati o secondari.
Come quello di compiere uno di quei piccoli – grandi gesti che non si fanno quasi più in questa società sempre più veloce. E social. Fare una telefonata o una visita alle persone care anche in assenza di eventi ‘clamorosi’. Lieti o meno lieti. Semplicemente per sincerarsi delle condizioni di salute o di vita.
Come sforzarsi a cercare il bello e il positivo nelle persone più lontane e diverse da noi. Qualunque sia la materia per la quale dobbiamo averci a che fare.
Come tenere sempre presente il valore e il rispetto per la parola data. E nel ricordarmelo citava uno dei suoi scrittori preferiti: “Quando viene usata in maniera onorata e misurata la parola è la nostra maggiore ricchezza. Come erano abituati a usarla i nostri antenati”.
Ma mi mancano anche quei momenti in cui intento a guardare la tv con mia madre, si dispiaceva insieme a lei per quei concorrenti – perfettamente sconosciuti – che dopo aver partecipato per una settimana intera a un gioco a premi (‘Is paccoso’) tornavano a casa a mani vuote dopo aver perso quanto già vinto.
E quelle lunghe discussioni di politica pedagogico – romantica. Di quella bella politica che molto (troppo) raramente abbiamo visto praticare nelle istituzioni di ogni ordine e grado.
O le tante partite di calcio seguite assieme dove cercavo di spiegargli la regola del fuorigioco. Regola che mai volle capire perché la trovava indigesta.
Da quella volta la cravatta non la indossò più. Neanche in occasione del suo matrimonio e del mio. Né per la mia laurea quando tra i tanti bei momenti vissuti quel giorno, ebbe il piacere di trovarsi con il Magnifico Rettore di allora Pasquale Mistretta e Piero Marras a parlare dell’argomento della tesi di laurea del figlio (Il museo del tappetto a Samugheo). Momento di cui persi la diretta trovandomi in tutt’altre faccende affaccendato. E giorni dopo nel sincerarmi dell’accaduto, alla domanda “Babbu ma è beru ca as connottu su Rettore?” mi rispose candidamente “Beru Antonè … mi da presentau Piero”.
Dieci anni a oggi – scegliendo il giorno canonico – ci lasciava mio padre. Oltre a sentirne la presenza nell’aria, sembra ci accompagni nel quotidiano, nei nostri pensieri e nel nostro modo di essere. Che continui ad affiancarci nelle decisioni, nelle scelte e nelle azioni di ogni giorno con la sua saggezza e bonomia. Come se fosse ancora qui.
Antonello